Sfera

by Eva Auer

 

Sono in corso i campionati europei di calcio e tante sono le immagini calcistiche che sopratutto scorrono, nella televisione accesa, in sottofondo, mentre gironzolo per il web con mio portatile. Imbattendomi in discorsi attorno alla “realtà virtuale”, è inevitabile pensare alle simulazioni del calcio che girano su specifiche piattaforme, o consolle. Utilizzando lo schermo televisivo come monitor, a mio avviso anch’esse rappresentano una virtualità che, vista l’animazione che può generare durante le sessions, è meno sedentaria di quella attorno le vere partite di calcio proposte negli altri canali dello stesso strumento visuale.

Il pubblico del calcio su consolle continua a definire la propria attività “videogioco”. Il termine “realtà virtuale” non si estende a quel tipo di situazioni, non che venga rifiutato: proprio non è preso in considerazione. Forse “realtà virtuale” sa troppo di un qualcosa di mentale che non riguarda quel sottoinsieme dell’ampio strato sociale che assiste allo spettacolo del calcio, in TV e talvolta allo stadio. Il loro oggetto d’interesse è dinamico ed essi si definiscono “tifosi” e appresso, senza remore, “sportivi”. Il momento mentale non fa parte del loro hobby. I loro colori sono sgargianti, brillantemente illuminati, tali da distinguere un momento spensierato.

“Realtà virtuale” è invece un qualcosa con colori “alla Matrix”. Grigi virati in blu, verdi vagamente militareschi, ombre scure di conseguenza. Espressioni facciali che la gioia la ignorano o quasi, anzi, quando poi si animano, mostrano l’essere avvezze alle situazioni delle strade del semicentro, quelle popolate solo da automobili e dove a piedi passa chi rientra a casa scontento di non potersi permettere una zona residenziale incrociando altri che invece non possono permettersi la macchina. Gli unici che lì, a livello strada, non guardano quindi di sfuggita il loro prossimo sono i negozianti che economicamente sopravvivono, attenti e rintanati all’interno dei loro esercizi commerciali. Nei momenti in cui non sono assorti a leggere fatture, bolle di reso e bollette varie, rilevano di persona la decadenza. Si chiedono spesso dov’è finito il resto della gente con la quasi certezza che è fortunato chi si trova nel giro di quel “qualcosa di bello” mostrato in televisione.

Con quest’idea di fondo, la “realtà virtuale” è alternativa a ciò che è lecito sognare e che si guarda nel tempo libero. Se contiene temi avvincenti, esso certamente sono simil-Matrix. Infatti, la stessa gamma di blu che virano al grigio sono usati per le immagini delle introspezioni psico-qualcosa che nei casi estremi posseggono implicazioni degne del thriller. In ogni caso si tratta di discorsi inevitabilmente tendenti all’intimo, che per il gusto della suspense sono praticati con sconosciuti che “non si sa mai chi sia, nascosto dietro il monitor”. Su tutto ciò incombe quel “sesso” che è tipico intendere sognato dai ragionieri con l’immancabile pancetta mentre è fattivamente praticato dagli imprenditori. Viene quasi da sé che non si tratta di temi nell’immediato interesse degli sportivi, più propensi al festeggiare il sogno dell’innocenza. Non a caso i giornalisti sportivi, quando preparano il loro pubblico all’evento sgradevole, pronunciano quel loro dannato “ora vi mostriamo delle immagini che non avremmo mai voluto mostrare”. Ciò, da altre parti, sarebbe immediatamente definito “da voyeur”, però non qui: siamo tra gente semplice.

Probabile, com’è probabile siano tutte solo facciate. In ogni caso, assistere a un incontro di calcio virtuale animato da due giocatori abili, può però essere davvero avvincente. La situazione propizia la fantasia e il lato spettacolare è certamente tenuto in forte considerazione da giocatori e piccolo pubblico -come numero- d’intorno. Non v’è dubbio che lo svolgersi della gara sia un evento ludico e il clima, privo dell’incombere dell’ombra di logiche di mercato/borsa e altre varie geopolitiche, è senz’altro leggero. Inoltre, i pali di sostegno del verde urbano restano al loro posto, le birra in bottiglia di vetro non si sente discriminata, i cassonetti non si accorgono di nulla, i venditori di vernice spray penseranno un pochino di più a Keith Haring e i mezzi pubblici (Mercedes e Skoda) se intonsi prima, restano tali anche dopo.

Ho usato qualche frase spiritosa in quanto la virtualità (per es.: Second Life, SIMS, Kaneva, Habbo Hotel, World of Warcraft, Lineage 2, Dark Age of Camelot, Everquest, Croquet, Multiverse, HiPiHi, Go Supermodel, Jumpstart, Stardoll, Twinity) è oggetto di commenti ironici di chi la considera “surrogato della realtà”. Secondo me ne è una rappresentazione con modalità artistiche ma so che esiste chi la considera valida solo se riconducibile a qualcuno che sia “vero”. Per realizzare il nesso con il vero si attiva una specie di “via dello scambio” di dati reali, sul tipo di foto e/o l’uso condiviso del viva-voce. Ci sono state discussioni attorno a questo tema ma non ho notato cambiamenti d’opinione. Vediamo quindi se la situazione calcistica, nel suo specifico insieme, può aiutarci in proposito.

Intanto partiamo dalla realtà. Raccogliendo pareri e testimonianze, emerge l’opinione che la raggiunta uniformità di gioco praticato ha fatto del calcio un qualcosa di noioso. Infatti, i tornei vengono decisi sempre più spesso dai rigori che i commentatori, appunto, definiscono “una lotteria”. Il mancato spettacolo sarebbe quindi compensato da un intorno di miriadi di analisi dei fatti, occasioni colte e mancate, momenti di crisi dei singoli, altre statistiche e infinite minime analisi anche motivazionali. Che l’intorno sia un qualcosa gestito con cura lo testimonia a sua volta il fatto che a volte è tale da costituire uno spettacolo a sé stante.  Alla lunga, tutto questo show soprattutto “talk”, ha reso il calcio -che nel frattempo si quotava in borsa- astratto a tal punto che per ricordare il suo “spirito” è necessario riferire a immagini classiche, tipo quelle di Italia-Germania 4 a 3, per intenderci. Pertanto viene spontanea una domanda: un qualcosa di concreto che si guarda con in mente un sogno, si tratta di un qualcosa di concreto? Quanto è lungo il passo che si deve fare per virtualizzarlo completamente? Quale motivazione può esserci per stimolare la sua virtualizzazione?

Sogni a parte, vediamo un po’ cosa accade nei risultati concreti. Le vincitrici del campionato nazionale di serie “A” degli ultimi trent’anni sono, a rotazione, sempre le stesse tre e mi chiedo, a questo punto, che gusto si provi a fare il tifo per squadre come Atalanta, Bologna, Cagliari, Catania, Cesena, Chievo, Fiorentina, Genoa, Lecce, Novara, Palermo, Parma, Siena, Udinese. Non mi sorprendo, quindi, se i tifosi disertano sempre di più lo stadio e il calcio è, in definitiva, una danza di minuscole figurette in uno schermo. Il di più della realtà, a questo punto, è la sfilata delle star nella tua città e le chiacchiere d’intorno cariche di gossip, sinergico ad altre questioni di Grandi Uomini e le loro donnine, affari di nipoti di politici africani e tatuaggi sull’inguine.

Tutto ciò, restando nel pallone, perché si presuppone immortale uno spirito evocato tramite nomi di altre ere e, se non basta, altre melancolie sul tipo di quelle recitate da Aldo, Giovanni e Giacomo in “tre uomini e una gamba” oppure il campo sempre di periferia, gli amici sempre veri e la nebbia nei polmoni e altre cose che gettano benzina sul fuoco del ricordo e della sua dannata tendenza alla deformazione poetica. Attitudine, quest’ultima, che tende a farci dimenticare che oggi nelle spiagge si paga persino per respirare mentre nei campi di periferia trovi solo capannoni chiusi e rottami. Gli esseri viventi sono figure vaganti, spesso extracomunitari e altri immigrati dall’avventurosa dimora. Dentro le città, invece, imperverserebbero i pedofili e, se uno spazio è felice, niente di strano che possa essere obiettivo per “terroristi” o altri fanatici. Quanto alle “nuove lottizzazioni” che sono attorno le nostre città, quelle dove i progettisti hanno pensato a tutto, proprio tutto, anche lì non vedi l’ombra di un bambino con il pallone.

Parrebbe sia avvenuta una fuga dalla vita collettiva. Questo per me significa fuga dalla realtà che è stata sostituita da ambienti “opportuni”, contestualmente trasformando i residenti in persone incapaci di distinguere un luogo se non dichiarato specializzato da qualche competenza burocraticamente certa. Insomma, siamo diventati animali d’allevamento: in gabbia. La cultura che comunque noi continuiamo a produrre, contestualmente affermava linguaggi visuali, sopratutto grazie alla contemporanea fruizione dell’onnipresente televisione. Da molti anni, infatti, persino i concerti, se privi di un megaschermo, sono “invedibili”.

Queste osservazioni mi portano ad alcune affermazioni. Intanto che non può non avvenire una forma di ribellione a tutto ciò. Se essa avviene, lo farà con mezzi e linguaggi che da tale popolo ingabbiato possa essere compreso. Cioè, parlando per estremi, un gesto che negli anni ’70 poteva essere “di ribellione”, oggi è, come minimo, un innocuo gesto vintage capace, nel migliore dei casi, di far sbocciare un sorriso altrettanto innocuo in chi è di buonumore.

Tornando al discorso calcistico, la sua virtualizzazione la vedo quindi come conseguenza -e non causa- di un processo in atto. Il suo futuro potrebbe riservare diavolerie tecnologiche? E’ plausibile che i giocatori si connetteranno in rete e vorranno tutto più vero. Pensando alle possibilità tecnologiche, si svilupperanno per esempio sensori wireless (da applicare come cerotti per smettere di fumare) per comunicare (ad altro giocatore e, magari, contemporaneamente all’arbitro) il realistico dolore di un impatto tra il piede del difensore dell’e-Inter507883 e la regione tibio-peronea-astragalica dell’attaccante del Virtual Corbetta04? Oppure tali sensori, per rendere tutto più realistico, permetteranno anche le simulazioni (con tanto di scena madre a video) replicate sullo schermo?

Ancora, tali sensori –per amore del vero- sarà possibile tararli secondo una soglia del dolore soggettiva? Sarà possibile o impossibile hackerarli? Esisterà la possibilità di un voice che trasmetta urla che si presuppongono vere?

Oppure ci renderemo conto che la simulazione non è “dati fisici” – tutto sommato impossibili da replicare per via della loro complessità-  e, a un certo punto, com’é già accaduto se ci pensate bene, ci sarà l’evoluzione del software tale da permettere l’affermazione di una narrazione autonoma. Questa narrazione non potrà che essere uno spettacolo perché solo nell’essere tale, questo qualcosa “del futuro”, festeggerà la “vita” vera, nel mondo reale dove tutto ciò è assodato che esiste.

Quanto agli argomenti di contorno, l’ipotetico giocatore che animerà il Virtual Corbetta04… potrà mai essere definito un “wannabe”?