Tra uomo e donna

Al di fuori, e al di sopra, di ogni tipo di suddivisione dell’umanità in classi, razze o religione, c’è la separazione tra uomo e donna. Almeno da quando gli umani hanno smesso di essere cacciatori-raccoglitori, con la rivoluzione agricola circa 10.000 anni fa, e hanno creato insediamenti stabili, e regole di convivenza da rispettare.

Per migliaia di anni la donna è stata semplicemente una “proprietà” dell’uomo, da cui dipendeva in tutto e per tutto, assumendosi il compito della cura e della crescita dei figli. Ma questa suddivisione di compiti ha motivazioni biologiche, o ha semplicemente radici nelle regole sociali che ci siamo dati? In fondo, ci sono stati nella storia esempi di società matriarcali, che hanno funzionato altrettanto bene di quelle a prevalenza maschile. Non si è quindi creata questa separazione unicamente per scelte casuali, legate a specifici eventi storici, a particolari modelli di vita che si sono affermati nei secoli passati?

Neanche il sesso è sufficiente a giustificare questa suddivisione dei ruoli, perchè in natura la sessualità (tanto più oggi, come nell’antichità) non è esclusiva del rapporto uomo – donna.

Un ruolo fondamentale è stato svolto, nei secoli recenti, dalle religioni, che, con le loro leggi moralistiche, hanno contribuito a consolidare la separazione dei ruoli, come se fossero “naturali”, da accettare come fatto ineluttabile. Questo, almeno, fino all’avvento del Papa rivoluzionario che abbiamo oggi, da cui verranno sicuramente ulteriori aperture su sessualità e convivenza civile.

Naturalmente, ci sono anche alcune differenze fisiche tra i due sessi, differenze tra i cromosomi X-Y maschili e quelli X-X femminili, e ci sono differenze di conformazione fisica e di tratti distintivi, derivanti dall’evoluzione della nostra specie nel corso dei millenni, ma non sono questi che hanno dato origine ad una suddivisione di ruoli e compiti sociali.

Non c’è alcuna motivazione biologica per suddividere l’umanità in due categorie sociali distinte, se non quella, ineludibile, del ruolo di procreazione, perchè la donna ha l’utero e l’uomo i testicoli, ineludibile differenza fisica. Ma questo non rendeva affatto inevitabile il tipo di società maschilista che si andò creando nei millenni scorsi.

E’ quindi assolutamente giustificato, e sacrosanto, il lento movimento di liberazione della donna da soprusi e prevaricazioni, sia nella società che nei nuclei familiari, che, a partire dal XIX secolo, sta cambiando i ruoli sociali a cui eravamo abituati da millenni. E’ un movimento che ha conquistato alle donne diritti e possibilità di espressione, a pieno titolo.

Oggi molte aziende hanno a capo dei CEO donna, e fanno della parità di genere un tratto distintivo delle loro politiche sociali, ma tutto ciò ancora non ha pervaso l’intera società umana, e non in tutto il mondo. Ed è intollerabile che all’interno dei nuclei familiari sopravvivano ancora residui di prevaricazione, e di violenza vera e propria.

Questo processo di affermazione della parità di genere, dei ruoli e dei compiti (così come anche di posizione economica, non dimentichiamolo) andrà avanti, senza fermarsi. Ma ognuno di noi può contribuire ad accelerarlo, uomo o donna che sia. L’unica cosa da evitare è la creazione di contrapposizioni, sterili e dannose, che possono ostacolare questo processo.

E la questione della lotta per il cambiamento non riguarda solo il genere femminile, perchè nella società attuale le posizioni di potere prevalenti le ricoprono ancora gli uomini. Riguarda l’intera società, la sua cultura, le sue regole, le sue leggi. Ma riguarda anche, personalmente, ognuno di noi nelle idee, e nei comportamenti.

La giornata contro la violenza sulle donne, che si celebra ogni anno il 25 di novembre, deve essere l’occasione per fare il punto sullo stato di avanzamento di questo processo, e per allargare la platea delle sensibilità e dei comportamenti virtuosi. Diamoci da fare, dipende da noi, da ognuno di noi.

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